UN VIAGGIO PARTICOLARE... di P. Celso Corbioli, Centro de N'Dame
Dire che nel tragitto Dakar-Bissau accadano degli imprevisti non è affermare una grande novità: si sa bene che lungo quella strada può capitare di tutto.
I chilometri in verità non sono tantissimi, circa 650. Ma si deve sapere che occorre passare attraverso tre paesi: il Senegal, il Gambia, ancora il Senegal, e finalmente la Guinea Bissau. In allegato c’è una cartina per facilitarne la comprensione.
La mattina del 8 Maggio siamo partiti molto presto da Dakar, verso le 4,30. La mia intenzione era di arrivare alla mia Missione di N’Dame, in Guinea Bissau, perché il giorno dopo avevo un impegno. Ero in compagnia di due giovani oblati senegalesi, Etienne e Jean-Marie. Viaggiavo con la loro macchina, in direzione di Temento, la loro missione. Era là che, all’andata, avevo lasciato la mia vecchia macchina.
Non ci è voluto tanto tempo raggiungere la frontiera con il Gambia (4 ore e mezzo). Nemmeno le pratiche (passaporti, dogana…) ci hanno portato via molto tempo, perché Etienne ci sapeva fare. Ero contento perché le cose andavano più veloci del previsto. Quando però siamo arrivati al traghetto, abbiamo perso tutto il tempo che avevamo guadagnato, a causa di un camion che non riusciva ad entrare. E così passarono alcune ore. Ma finalmente arrivò il nostro turno e attraversammo. Arrivati di là, c’erano da fare altri 20 km in terra battuta per uscire dal Gambia e rientrare nel Senegal. Tutto bene per i controlli, grazie al nostro Etienne. In poco tempo arrivammo vicino alla frontiera, mancavano ancora 50 metri. Ultimo controllo della Polizia del Gambia. Questa volta però più minuzioso: luci, frecce, patente e… clacson. Ero io alla guida.
“Il clacson funziona?” Mi chiese il poliziotto.
“Come no!” (Aveva sempre funzionato!). E invece no! Continuavo a pigiare, con sempre più forza, ma niente. Anche Etienne mi aiutò, ma non ne usciva nessun suono. Guardai in faccia il poliziotto, dicendo:
“Le assicuro, funzionava fino a poco fa!”.
Il poliziotto mi guardava (con una certa soddisfazione). Sembrava voler dire: a chi la vuoi far credere? Ripetei:
“Può sembrar strano, ma solo ora, qui davanti a lei, non funziona”.
Mi guardava ancora, per nulla convinto; sembrava che pensasse: dicono tutti così! Era inutile insistere. Mi disse di accostare a lato e di seguirlo. Entrammo sotto una tettoia coperta di frasche. Mi disse chiaramente che era un’infrazione grave, e che se avessi dovuto pagare la multa, mi sarebbe costata molto cara, in tempo (avremmo dovuto tornare indietro, per quella pista piena di buche, fino alla centrale della Polizia), e in denaro. Però ci sarebbe stato un altro modo: mettermi d’accordo con lui. Feci finta di non capire, e gli dissi che in tutta la mia vita di guida non mi era mai capitata una cosa del genere. Questo sembrava impressionarlo, ma non al punto da fargli cambiare idea.
Gli dissi ancora: “Ti chiedo semplicemente di lasciarci andare. Appena arriveremo dal meccanico, metteremo a posto il clacson”. Niente da fare. Certo, sarebbe stato molto più semplice dargli qualcosa e partire, tanto più che eravamo in ritardo. Ma non me la sentivo proprio. E poi in quella strada polverosa avevo notato un cartello: “say no to bribery” (di’ no alla corruzione). (La lingua nazionale in Gambia è l’inglese, in Senegal il francese e in Guinea Bissau il portoghese).
Visto che non avevo intenzione di cedere, mi disse di aspettare il capo. Costui venne dopo un po’. Era un uomo sulla cinquantina, dall’aspetto bonario.
“Here is the boss” (ecco il capo), mi disse.
“Senti capo, ho un problema”, gli dissi sorridendo, “il clacson non funziona…”. (Inutile ripetergli tutta la storia, che prima funzionava ecc.). “Ti chiedo semplicemente di lasciarci partire. Lo aggiusteremo appena arriveremo dal meccanico”.
“Sì, però se ci dai qualcosa…”.
“Non sono abituato a fare queste cose, capo. Lavoro come missionario in Guinea, e non sono là per fare commercio, ma per aiutare. Perché non aiutate anche voi?”.
Si guardarono in faccia e, dopo una breve riflessione, fecero un cenno di affermazione. E disse:
“Va bene, potete andare, buon viaggio”.
“Grazie capo!”.
Entrammo in Senegal, e dopo un paio di ore eravamo a Zinguenchor, la capitale del Senegal del Sud (la cosidetta Casamance). Come promesso, andammo dal meccanico. La tromba del clacson si era staccata e fu necessario saldarla. Così passò altro tempo. Arrivammo a Temento alle 7 di sera.
La strada che rimaneva per arrivare a N’Dame non era tantissima (115 km), ma bisognava prendere una pista e passare attraverso la frontiera, in una zona di savana e di foresta. Inoltre in Guinea ci sarebbe stato un altro traghetto che alle 7,30 di sera si fermava (è appena stato costruito un ponte, finanziato dalla comunità europea. Sarà presto inaugurato).
Pensando però che al di là della frontiera c’era una missione (Ingorè), avrei potuto arrivare fino là, e ripartire la mattina seguente molto presto per prendere il primo traghetto. I miei confratelli erano d’accordo su quest’idea, e così presi la vecchia macchina che avevo lasciato all’andata (la papamobile, per chi ne ha sentito parlare), e mi avviai verso il “mato” (la foresta). Come detto, è una zona di confine tra Senegal e Guinea; è facile passare perché non ci sono controlli. Ai soldati senegalesi che incontriamo di tanto in tanto spieghiamo chi siamo, e ci lasciano andare. Quella sera non incontrai nessuno.
In Africa la notte arriva in pochi minuti, questo lo sapevo bene. Alle 7,15 ci si vedeva ancora, ma alle 7,30 era già buio. Così, dopo pochi km dovetti accendere le luci. Mi ricordavo però la pista per averla fatta altre volte. A un certo punto incontrai un gruppo di ragazzi: chiedevano con insistenza un passaggio. Pensai di aiutarli, dal momento che sembravano andare nella mia stessa direzione. Continuammo il cammino. Sapevo che a un certo punto, dopo una chiesetta, dovevo prendere la prima a sinistra. Tutto bene. Sapevo anche che avrei dovuto prendere la pista seguente pure a sinistra, ma arrivato là mi gridarono che non è quella la strada giusta.
“Vuoi vedere che non mi ricordo bene?” mi dissi. E allora avanti. Ma dopo poche centinaia di metri non mi ritrovavo più. Quella strada non l’avevo mai fatta. Arrivammo in un villaggio (nuovo per me), e mi dicono:
“Noi ci fermiamo qui”.
“Ma io devo andare a Ingoré. E’ questa la strada?”
“Ah, no. Ma se torni un po’ più indietro ne vedrai una a destra, prendi quella e ti ritroverai”.
Faccio retromarcia, ritorno e prendo la strada indicata. Ma più mi vado avanti, più mi trovo confuso. Non so più dove sono. Ci sono altre piste, in tutte la direzioni. Quale sarà quella giusta? Sto perdendo la pazienza (con me) e mi dico: “Ecco che cosa ci si guadagna ad aiutare gli altri! Se mi lasciavano andare per la mia strada…”. E’ notte fonda. Il forte canto dei grilli e dei vari insetti che altre volte seguivo con piacere, non mi dice nulla. Comincio a preoccuparmi. Mi viene la voglia di tornare a Temento, ma rischierei di non trovare nemmeno quella strada. A un certo punto mi dico: “Sono certo che ne uscirò, perché so per Chi sto lavorando”. E riprendo sicurezza. Dopo un po’ arrivo a un nuovo villaggio. Escono all’inizio i più coraggiosi (i giovanotti) e via via donne, anziani e bambini, attratti dal rumore del motore e dalla luce dei fari. Sono tutti intorno alla macchina. Chiedo anche a loro:
“Devo andare a Ingoré, è questa la strada?”
Uno mi dice:
“Dovrei andarci anch’io, ma solo domani. Se continui diritto incontrerai un altro villaggio. Lì ti spiegheranno”.
E allora avanti ancora. Dopo un po’ arrivo a un incrocio di piste. E, cosa strana, mi sembra una zona familiare. In effetti sono nella strada che conosco. E allora non mi preoccupo più. Arrivo al villaggio, ma non è più necessario chiedere. E continuo contento.
Verso le 9 sono a Ingoré. Entro nella casa delle Suore, e dico:
“Capisco che non sono queste le ore per arrivare qui, ma…”
“Qui va bene venire in tutte le ore!” Mi dicono. E mi fanno subito un posto a tavola.
N’Dame, 13.05.09
In allegato 1- la piantina, con evidenziata la strada percorsa.
2- Il ponte nuovo, dopo Ingoré.