giovedì, settembre 20, 2007

LA GUINEA BISSAU E L'ITALIA 4

Quarta e penultima parte del nostro mini reportage

“Le elezioni posticipate di un anno? No, no, non è possibile…Bisogna votare nel 2008: per forza!”
Non hanno dubbi Ildo e Alfredo commentando la proposta, in realtà non ancora formalizzata, di spostare le elezioni previste il prossimo anno per mancanza di fondi. Anche perché questo si lega strettamente all’attuale governo presieduto da Cabi. “Il governo era nato appunto come una situazione transitoria, una sorta di traghettatore”, spiega Ildo, “e allora che senso ha adesso pensare di allontanare la data de
lle elezioni?”, si interroga meravigliato (ma neanche tanto).
Proprio sull’attuale situazione politica della Guinea Bissau, si registrano versioni differenti sull’impatto che ha avuto Cabi nel paese. “Nessuna svolta, non è cambiato nulla per ora” è una delle idee alla quale si contrappone il giudizio secondo cui “Cabi ha segnato un indirizzo, ha in qualche modo tracciato una strada”.
Se la situazione politica è vista in maniera così differente da chi, lontano dal proprio paese, ha la fortuna di poterla osservare con un occhio esterno, figurarsi la confusione di chi si trova in Guinea Bissau: una realtà che attualmente vede problemi molto pratici, come la difficoltà di reperire energia elettrica e acqua e una grande emergenza, ovvero il traffico di droga. Una situazione che ha dato una incredibile visibilità alla Guinea Bissau, definita il primo narco-stato al mondo. “Visto, noi bissau guineensi ci facciamo conoscere in tutto il mondo”, dicono ironici, “però per questi motivi e non per qualche bella azione o qualcosa di positivo”.
Tornando all’attualità si fanno seri : “Purtroppo il traffico di droga rischia di degenerare” affermano preoccupati sottolineando inoltre che proprio le elezioni potrebbero rappresentare una situazione di alto rischio.
“Bisogna evitare che chi controlla il traffico di droga, riesca anche a indirizzare le elezioni in un determinato senso, altrimenti per la nostra nazione sarà davvero dura riprendersi”.
Una nazione con una ormai più che trentennale storia di indipendenza dal Portogallo, ma che ancora non riesce ad avviare un completo processo di autonomia economica, politica e sociale. “Il problema è che forse noi non eravamo pronti per l’indipendenza” ammette sospirando Ildo. Senza togliere in alcun modo dignità a coloro i quali hanno sacrificato la propria vita per un ideale di libertà e sottolineando come da subito si sia avuta una forma di resistenza verso i colonizzatori in Guinea Bissau, Alfredo parla candidamente: “Abbiamo fatto una guerra senza sapere bene per cosa lottavamo. E il prezzo lo stiamo pagando oggi…”
In verità le mire delle critiche di Alfredo in riferimento all’indipendenza sono anche per i capoverdiani, soprattutto quando poniamo il problema delle Isole Bijagos, un patrimonio dell’umanità non valorizzato. “Mentre i nostri combattevano nelle foreste, a Capoverde andavano a scuola: è normale che siano un passo avanti a noi. Però noi abbiamo combattuto una guerra d’indipendenza anche per loro e non abbiamo ricevuto nulla in cambio”.
Forse è giunto il momento per rendersi conto che il sacrificio di vite umane non deve essere reso umano. Ma come riuscire a capovolgere la situazione? A tal proposito portiamo l’esempio del Burkina Faso e di Thomas Sankara, di cui quest’anno cade il ventesimo anniversario della morte. Figure come lui non sembrano vedersi nella nazione e sembra anni luce lontana quella voglia di riscossa. Ci saranno altri Amilcar Cabral, altri Thomas Sankara, spronati non a ottenere un’indipendenza da un colonizzatore ma a dare un senso al sacrifico dei tanti che lottarono per ottenerla?
La risposta a questo interrogativo noi non la possediamo. Purtroppo.
CONTINUA...