LA GUINEA BISSAU E L'ITALIA 3
Terza parte del nostro mini reportage...
Abbiamo appurato le difficoltà di far comprendere a chi rimane in Africa, la realtà che si trova in Europa: non si è compresi e spesso si è tacciati di arroganza, egoismo o, nel peggiore dei casi, si è etichettati come falliti.
Ma il ritorno a casa dovrà pur essere auspicato da qualcuno degli immigrati, soprattutto tra coloro i quali si dannano per fare qualcosa per la propria terra d’origine, senza dimenticare in alcun modo le proprie origini.
“Siamo giunti alla conclusione che forse è più facile essere utili da qui, che non ritornare nella nostra terra” afferma con apparente realismo Alfredo, “almeno per ora”.
Il veleno è nella coda. Questo “per ora” sembra sottintendere una serie di situazioni attuali che non garantiscono un’autonomia e un’operatività al proprio rientro. “Negli scorsi anni qualcuno si è venuto a laureare in Occidente”, spiegano Ildo e Alfredo, “e ha poi deciso di rientrare in Guinea Bissau, sperando di mettere a disposizione della nazione le proprie conoscenze, ma purtroppo tranne casi isolati, i più hanno riscontrato solo impossibilità di agire”.
E’ per questo, se ne deduce, che memori delle esperienze precedenti, i nuovi migranti, abbiano successivamente deciso di stabilirsi in maniera pressoché permanente in Europa. “Tornare ora non è pensabile”, proseguono denotando pessimismo, “sarà possibile solo nel momento in cui avremo la certezza di un progetto serio e che le nostre conoscenze siano realmente valorizzate e rese libere di esprimersi. In questo momento tornare in Guinea Bissau significherebbe ‘adeguarsi al sistema’, altrimenti non ne sarai parte integrante o di successo” , sentenziano amareggiati.
“Sistema”. Parola della quale forse si abusa in questi casi, ma che potremmo sintetizzare con le parole di un diplomatico europeo, residente in Guinea-Bissau, sentito da PeaceReporter dietro garanzia dell'anonimato in una recente inchiesta sul traffico di droga: “Qui non ci sono istituzioni, i salari dei dipendenti pubblici vengono pagati ogni 4-5 mesi, non c'è acqua e l'elettricità manca da 16 anni. Non c'è neanche una prigione, la polizia ha in dotazione tre radio e due auto, ma senza la benzina per farle partire. La comunità internazionale ha dimenticato questo Paese, e si limita a interventi dell'ultimo minuto per pagare gli stipendi alle Forze Armate e evitare colpi di stato”.
Perciò il ruolo degli immigrati si “ridurrebbe” per ora a inviare i soldi a casa per aiutare la famiglia rimasta lì e a poco altro, se attualmente è improponibile un ritorno in patria per agire? “No, noi preferiamo restare qui perché intanto forniamo un aiuto materiale”, spiegano rispondendo a un interrogativo alquanto provocatorio, “ma anche perché riusciamo ad appropriarci di conoscenze che risulteranno utili al più presto per la nostra nazione. E in più proviamo a sensibilizzare e operare sui temi della Guinea Bissau da qui, coinvolgendo un numero sempre maggiore di persone, come testimonia la volontà di fondare l’associazione degli immigrati bissau guineensi”.
L’importante però è mantenere un rapporto stretto con la propria nazione e interessarsi ai problemi dei propri connazionali, senza l’egoismo di sentirsi realizzati personalmente e interessarsi esclusivamente alle dinamiche della propria famiglia. “Purtroppo abbiamo constatato”, spiegano critici, “che alcune persone una volta formata o trapiantata la propria famiglia qui e con un lavoro sicuro, tendono a isolarsi dal resto dei propri compagni coi quali prima avevano condiviso tutto”.
Una indifferenza che non sembra però appartenere alla comunità di bissau guineensi in giro per il mondo. A proposito della Guineaspora e dell’idea di censire il numero esatto di guineensi in giro per il mondo per concedere loro il diritto di voto, affrontano il problema liquidandolo con una grossa risata. “E’ un’operazione inutile ora, che farà sprecare solo soldi allo stato” affermano entrambi convinti. Ci sono determinate priorità in Guinea Bissau, confermano i ragazzi, che non ci dovrebbero permettere il lusso di dedicarci a questi progetti, da realizzare invece successivamente. “Inoltre, non ci sentiamo neppure in grado di poter votare con cognizione di causa”, aggiungono, “in quanto noi non disponiamo dei programmi elettorali dei vari candidati e non seguiamo le loro campagne elettorali, perciò sarebbe un voto per sentito dire”.
Proviamo a spiegare che c’è anche il progetto di posticipare le elezioni al 2009, per mancanza di fondi: in questo caso la reazione non è una grossa risata, ma un sorriso amaro…
CONTINUA...
Abbiamo appurato le difficoltà di far comprendere a chi rimane in Africa, la realtà che si trova in Europa: non si è compresi e spesso si è tacciati di arroganza, egoismo o, nel peggiore dei casi, si è etichettati come falliti.
Ma il ritorno a casa dovrà pur essere auspicato da qualcuno degli immigrati, soprattutto tra coloro i quali si dannano per fare qualcosa per la propria terra d’origine, senza dimenticare in alcun modo le proprie origini.
“Siamo giunti alla conclusione che forse è più facile essere utili da qui, che non ritornare nella nostra terra” afferma con apparente realismo Alfredo, “almeno per ora”.
Il veleno è nella coda. Questo “per ora” sembra sottintendere una serie di situazioni attuali che non garantiscono un’autonomia e un’operatività al proprio rientro. “Negli scorsi anni qualcuno si è venuto a laureare in Occidente”, spiegano Ildo e Alfredo, “e ha poi deciso di rientrare in Guinea Bissau, sperando di mettere a disposizione della nazione le proprie conoscenze, ma purtroppo tranne casi isolati, i più hanno riscontrato solo impossibilità di agire”.
E’ per questo, se ne deduce, che memori delle esperienze precedenti, i nuovi migranti, abbiano successivamente deciso di stabilirsi in maniera pressoché permanente in Europa. “Tornare ora non è pensabile”, proseguono denotando pessimismo, “sarà possibile solo nel momento in cui avremo la certezza di un progetto serio e che le nostre conoscenze siano realmente valorizzate e rese libere di esprimersi. In questo momento tornare in Guinea Bissau significherebbe ‘adeguarsi al sistema’, altrimenti non ne sarai parte integrante o di successo” , sentenziano amareggiati.
“Sistema”. Parola della quale forse si abusa in questi casi, ma che potremmo sintetizzare con le parole di un diplomatico europeo, residente in Guinea-Bissau, sentito da PeaceReporter dietro garanzia dell'anonimato in una recente inchiesta sul traffico di droga: “Qui non ci sono istituzioni, i salari dei dipendenti pubblici vengono pagati ogni 4-5 mesi, non c'è acqua e l'elettricità manca da 16 anni. Non c'è neanche una prigione, la polizia ha in dotazione tre radio e due auto, ma senza la benzina per farle partire. La comunità internazionale ha dimenticato questo Paese, e si limita a interventi dell'ultimo minuto per pagare gli stipendi alle Forze Armate e evitare colpi di stato”.
Perciò il ruolo degli immigrati si “ridurrebbe” per ora a inviare i soldi a casa per aiutare la famiglia rimasta lì e a poco altro, se attualmente è improponibile un ritorno in patria per agire? “No, noi preferiamo restare qui perché intanto forniamo un aiuto materiale”, spiegano rispondendo a un interrogativo alquanto provocatorio, “ma anche perché riusciamo ad appropriarci di conoscenze che risulteranno utili al più presto per la nostra nazione. E in più proviamo a sensibilizzare e operare sui temi della Guinea Bissau da qui, coinvolgendo un numero sempre maggiore di persone, come testimonia la volontà di fondare l’associazione degli immigrati bissau guineensi”.
L’importante però è mantenere un rapporto stretto con la propria nazione e interessarsi ai problemi dei propri connazionali, senza l’egoismo di sentirsi realizzati personalmente e interessarsi esclusivamente alle dinamiche della propria famiglia. “Purtroppo abbiamo constatato”, spiegano critici, “che alcune persone una volta formata o trapiantata la propria famiglia qui e con un lavoro sicuro, tendono a isolarsi dal resto dei propri compagni coi quali prima avevano condiviso tutto”.
Una indifferenza che non sembra però appartenere alla comunità di bissau guineensi in giro per il mondo. A proposito della Guineaspora e dell’idea di censire il numero esatto di guineensi in giro per il mondo per concedere loro il diritto di voto, affrontano il problema liquidandolo con una grossa risata. “E’ un’operazione inutile ora, che farà sprecare solo soldi allo stato” affermano entrambi convinti. Ci sono determinate priorità in Guinea Bissau, confermano i ragazzi, che non ci dovrebbero permettere il lusso di dedicarci a questi progetti, da realizzare invece successivamente. “Inoltre, non ci sentiamo neppure in grado di poter votare con cognizione di causa”, aggiungono, “in quanto noi non disponiamo dei programmi elettorali dei vari candidati e non seguiamo le loro campagne elettorali, perciò sarebbe un voto per sentito dire”.
Proviamo a spiegare che c’è anche il progetto di posticipare le elezioni al 2009, per mancanza di fondi: in questo caso la reazione non è una grossa risata, ma un sorriso amaro…
CONTINUA...
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