L'ESERCITO DELLA PACE ...DELLE DONNE BISSAU GUINEENSI
Stralcio di un interessante reportage di PEACEREPORTER
Bissau - C’è un carro armato sulla strada che dal ponte Amilcar Cabral conduce alla città di Bissau, nero, bruciato, colpito a morte da un calibro pesante; e non appartiene a ricordi lontani.
Guinea Bissau, anno 2005, trent’anni di indipendenza, tre colpi di stato compiuti ed innumerevoli altri tentati, l’ultimo l’ottobre scorso: un’instabilità politica che ha scavato cicatrici profonde, divorato economie ed aiuti umanitari, vomitato profughi,ucciso tradizioni, mangiato vite. E prodotto miseria.
Raggiungere Bissau via terra non è semplice, le strade se le porta via la pioggia, che scende come una cascata e trasforma tutto in fango rosso. Quando scompare lascia solchi e buche tanto profonde da costringere i rari veicoli a camminare lenti sui margini, spesso a preferire sentieri nella foresta.
La capitale dell’ex colonia portoghese è calda, appiccicosa, è un mare di folla per le strade, di fuochi accesi la notte: anni di instabilità politica si sono portati via la corrente, le rare volte che arriva risveglia una città sonnolenta, dondolante e allegra come lo sono le cose e le persone in Africa. La musica sembra uscire dalla terra, l’allegria e i sorrisi, sono appena sotto le labbra: basta uno sguardo a farli esplodere. Bissau è ferita, certo, e non dimentica il carro armato che ha smesso di muoversi per linee rette proprio alle sue porte o gli hercules gonfi di riso e farina dei momenti peggiori: ma è una ferita che qualcuno, e cominciano ad essere in molti, tenta di rimarginare.
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