martedì, febbraio 19, 2008

PESCA: UNA PREZIOSA RISORSA per LA GUINEA BISSAU e L'AFRICA

Tesi della Dottoressa ZANINI VALENTINA

PARTE 5

6.1 L’acquacoltura

Secondo il rapporto della Fao “Lo Stato dell’Acquacoltura mondiale 2006”, circa metà dei pesci che si consumano a livello mondiale provengono da allevamenti ittici piuttosto che dal mare aperto.

Nel 1980 solo il 9% del pesce consumato proveniva dall’acquacoltura, mentre oggi la percentuale è salita al 43%, secondo il rapporto. Questo corrisponde a 45,5 milioni di tonnellate di pesce che viene consumato ogni anno, per un valore di 63 miliardi di dollari. Al momento il pescato complessivo, sia di mare che d’acqua dolce, ammonta a circa 95 milioni di tonnellate all’anno, di cui 60 milioni sono destinate al consumo umano.

A livello mondiale la domanda di pesce da parte dei consumatori continua a crescere, specialmente nei paesi ricchi e sviluppati, che nel 2004 hanno importato 33 milioni di tonnellate di pesce per un valore di oltre 61 miliardi di dollari, cioè l’81% del totale delle importazioni di pesce in termini di valore.
Ma i livelli di cattura in mare aperto sono invece rimasti stabili sin dalla metà degli anni ’80 e si aggirano intorno a 90-93 milioni di tonnellate l’anno. E secondo la FAO vi sono scarse possibilità di aumenti significativi di questi livelli. Le stime più recenti sugli stock ittici non d’allevamento, come già affermato in precedenza, indicano che su circa 600 specie monitorate dalla FAO, il 52 % è risultato sfruttato al massimo delle sua capacità, mentre il 25% è sovrasfruttato, (di cui il 17% è sfruttato in eccesso, il 7% è esaurito e l’1% in fase di ripresa da una situazione di totale impoverimento). Il 20% è moderatamente sfruttato, solo il 3% sotto-sfruttato.


Il Dipartimento Pesca della Fao afferma che le catture in mare aperto sono ancora abbondanti, anche se si sono stabilizzate, probabilmente per sempre. Questa stabilizzazione, insieme al fatto che la popolazione mondiale è in continua crescita, ed è di conseguenza in aumento la domanda pro-capite di pesce, anticipa grosse difficoltà future.

Il rapporto della FAO stima che per il 2030, solo per mantenere l’attuale livello di consumo, saranno necessari ulteriori 40 milioni di tonnellate di pesce. L'unico modo per soddisfare questa domanda futura è far ricorso agli allevamenti ittici.

Ma è necessario chiedersi se l’acquacoltura sarà in grado di produrre abbastanza per assolvere questo compito. Secondo il rapporto della FAO l’acquacoltura potrebbe riempire il gap esistente tra offerta e domanda, ma ci sono molti elementi che potrebbero invece spingere la produzione nella direzione opposta, e rendere difficile per l’industria ittica di crescere abbastanza da soddisfare la domanda futura.

La pesca d’allevamento dalla metà degli anni ’80 ad oggi ha registrato un vero e proprio boom, con un tasso di crescita pari all’8 % annuo. Oggi continua ad espandersi in quasi tutte le parti del mondo.

La FAO è preoccupata che questo momento di espansione potrebbe affievolirsi se i governi e le agenzie dello sviluppo non saranno in grado di adattare le loro politiche per rispondere alle nuove emergenze che rischiano di compromettere la futura crescita del settore. Uno dei problemi è la mancanza d’investimenti per i produttori dei paesi in via di sviluppo. Altri sono la scarsità di terra e di corsi d’acqua dolce da destinare all’acquacoltura, l’aumento del costo dell’energia, l’impatto sull’ambiente, la sicurezza igienica - sanitaria dei prodotti, tutte questioni che continuano a richiedere attenzione.

È necessario prendere provvedimenti al riguardo perché l’acquacoltura rappresenta una fonte di cibo ricca di proteine, di acidi grassi essenziali, di vitamine e di minerali. Offre inoltre grandi opportunità di sviluppo fornendo occupazione, migliorando i redditi e la resa delle risorse naturali. È necessario far sì che il settore continui ad espandersi, in modo sostenibile, per fornire alle popolazioni cibo e reddito, in particolare in zone come l’Africa Sub-Sahariana ed in Asia dove più diffuse sono fame e povertà.

6.1.1. L’acquacoltura in Africa

Gran parte dell’espansione dell’acquacoltura si è verificata nei paesi in via di sviluppo, in particolar modo in Cina e in tutti i paesi del Sud-Est Asiatico.

In Africa, invece, e in particolar modo in quella Sub-Sahariana permane una produzione minore con solo lo 0.15% del prodotto globale

Le ragioni sono diverse. L’acquacoltura non è “indigena” in Africa, infatti è stata introdotta durante il periodo coloniale come un’aggiunta alla pesca sportiva. Quando è stato introdotto l’allevamento di trote in Sud Africa dal 1850 e in Kenya dagli anni ’20 il pesce era destinato alla pesca sportiva, solo dagli anni ’50 si è iniziato a pensare all’acquacoltura come possibile fonte di alimentazione. Se confrontata con l’Asia, la tradizione d’allevamento in questa zona dell’Africa è molto recente, il nutrimento dei pesci e il controllo delle acque non sono stati parte della tradizione legata alla coltivazione. Inoltre i prerequisiti per lo sviluppo dell’acquacoltura erano spesso ignorati: non solo essa richiede che siano presenti determinate condizioni tecniche e biologiche, ma anche che possa essere attuabile a livello finanziario.

Lo sviluppo del mercato si è avuto dopo il successo dell’acquacoltura egiziana, prevalente rivolta all’allevamento di sardine, e soltanto quando questa ha iniziato ad avere importanza a livello internazionale, si è capito che l’allevamento ittico poteva essere profittevole in tutta l’Africa.

Negli anni ’70 la sua espansione nell’Africa Sub-Sahariana è stata guidata da donatori internazionali che si sono focalizzati sulla sua utilità come possibilità di ridurre la povertà, ma molti sono stati i problemi legati agli impedimenti per il suo sviluppo. Di 54 progetti solo meno di 10 sono stati realizzati e la principale causa è stata dovuta alla mancanza di profitto, questo perché molto spesso non è stata rivolta l’attenzione necessaria alle condizioni di mercato. Un esempio è la coltura della tilapia in Senegal, fallita a causa della competizione con la pesca costiera, in quanto la pesca d’allevamento, non essendo stata particolarmente apprezzata, non è riuscita a reggere il confronto con la pesca marina. In Zambia, invece, il successo dei progetti è stato legato al gran numero di pesci prodotti: lo scopo era di produrne quanti più possibile a prescindere dai costi

Altro esempio di progetto portato a termine con successo riguarda l’allevamento di alghe in Tanzania, oggi circa 7000 famiglie ricevono un milione di dollari in pagamenti diretti e questa è una regione in cui i redditi medi annuali sono di circa 100 dollari. La maggior parte degli allevatori sono donne per le quali questa attività è l’unica fonte di reddito. Grazie a questa la Tanzania ha maggiori possibilità di accesso al cibo, ma non solo: offre grandi opportunità anche al settore commerciale e quindi agli scambi con l’estero, che rendono possibile lo scambio di alghe con altri prodotti alimentari.

Anche in Madagascar la rapida espansione dell’acquacoltura è avvenuta per il settore commerciale, gli allevamenti sono stati privatizzati e hanno attratto investimenti stranieri, il tasso di crescita del prodotto nel periodo tra il 1992 e il 2001 è stato del 19%, più alto della media globale.

La grande importanza legata all’espansione di questo settore è la possibilità di creare occupazione per gli allevatori aumentando quindi la possibilità di reddito e quindi di accesso al cibo. E questo è il motivo principale per credere nell’acquacoltura come mezzo per ridurre la povertà in Africa. Ma lo sviluppo dell’acquacoltura può ripercuotersi anche sull’importanza del continente stesso nel quadro internazionale della filiera ittica: se gli allevamenti producono grandi quantità di risorse, i paesi possono puntare su queste per aumentare le loro esportazioni e migliorare la loro presenza nel quadro globale.

6.1.2 Cambiamenti necessari per lo sviluppo

Ci sono buone speranze per una continua espansione di questo settore, in particolare per quanto riguarda l’allevamento di tilapia, pesce gatto e carpa. Secondo uno studio della Fao, incorporando risorse di acqua e di terra, circa la metà del territorio dell’Africa continentale ha notevoli potenzialità per l’allevamento di queste tre specie. In particolar modo il più grande potenziale è legato alle esportazioni.

Ma perché tutto questo avvenga sono necessari notevoli investimenti.

Le indagini indicano che gli imprenditori sono riluttanti ad investire in Africa a causa dell’instabilità dei governi, delle loro decisioni di regolamentazione arbitrarie e della loro corruzione. Ci sono poi altri fattori importanti come l’accesso al capitale e gli alti costi dei finanziamenti, ma i problemi istituzionali pesano maggiormente sulle motivazioni. La difficoltà maggiore riguarda la scarsa possibilità di controllare gli investimenti, a cui si aggiungono la limitata trasparenza all’interno dei processi di ottenimento delle licenze e la notevole incertezza dei diritti di proprietà.

Per esempio, le operazioni in Zimbabwe sono limitate a causa delle avverse politiche microeconomiche, in aggiunta infatti agli alti tassi di inflazione e di interesse nominale gli allevatori hanno a che fare con politiche di tassi di cambio che compromettono le loro capacità di coprire i costi operativi.

Un altro ostacolo che limita gli investimenti privati è legato alla disponibilità e al costo del credito. L’acquacoltura è spesso un industria nuova e poco conosciuta a potenziali investitori e creditori, che sono incerti sulle prospettive nel lungo termine. Questo porta a limitate politiche di credito, a cui si aggiunge la debolezza del diritti di proprietà. Quest’ultima non solo riduce gli incentivi all’investimento, ma non permette agli allevatori di chiedere prestiti, anche a causa di tassi di interesse molto alti.

Per aumentare l’accessibilità al credito esistono alcune opzioni politiche; una di queste è dimostrare ai banchieri l’attuabilità degli allevamenti commerciali a livello finanziario. Per dimostrare la profittabilità dell’acquacoltura l’intenzione è di creare consapevolezza del settore e incoraggiare i prestiti. Coinvolgere le banche è l’inizio di un processo che può migliorare la situazione. Una politica complementare è creare dei business plans accurati sui loro meriti tecnici, questo può rassicurare sulle certezze future legate agli allevamenti, anche perché coinvolge direttamente i produttori.

Laddove l’acquacoltura commerciale si scontri con alti rischi e incertezze comunque esistono delle politiche a suo sostegno che sono state utilizzate in Asia e in America Latina. Una di queste è incoraggiare gli investimenti stranieri, che però richiede garanzie su profitti e capitali, politiche stabili e più aperte agli investimenti diretti esteri.

L’America Latina è l’esempio della possibilità concreta di attuare queste politiche di apertura. In Costa Rica, per esempio, l’attrazione di capitali esteri è avvenuta grazie ad una politica di esenzione dalle tasse per chi investe dall’esterno.

Come già detto l’acquacoltura è cresciuta a livello esponenziale negli ultimi decenni e in Africa ha delle notevoli potenzialità. Diventa quindi fondamentale in una zona tra le più povere al mondo incoraggiare l’espansione di questo settore e per farlo bisogna attrarre investimenti esteri. L’acquacoltura commerciale ha la potenzialità di aumentare la disponibilità di cibo e attraverso gli impieghi che genera aumentare la accessibilità al cibo stesso.

Un recente studio sulla situazione dell’acquacoltura africana ha indicato un certo numero di iniziative che sono importanti per avanzare lo sviluppo del settore. Tra queste la principale prevede l’aumento della partecipazione dell’iniziativa privata. Essa dovrebbe focalizzarsi sui mercati più vantaggiosi, essere responsabile di tutti gli input di produzione quali le esche, l’alimentazione, la tecnologia ecc. e contribuire alle funzioni di ricerca e informazione. Fondamentale è focalizzare l’attenzione sulle zone con alto potenziale, perché hanno maggiori possibilità di fornire risultati migliori sia in termini di produzione sia di funzionamento. Dovrebbero poi essere le autorità a fornire un ambiente favorevole allo sviluppo di queste zone.

A questo proposito sarebbe necessario ridefinire il ruolo dei governi: ad oggi controllano gli investimenti nel settore, si ritiene invece che dovrebbero preferibilmente sostenere la ricerca, fornire informazioni e controllo di qualità adeguato. Per questo, sarebbe opportuno che l’iniziativa privata avesse sempre più importanza all’interno del settore, ma in generale anche in tutta l’economia africana.

Soltanto con associazioni di produttori, cooperative, piccole imprese di addetti alla trasformazione il settore può essere gestito in maniera più adeguata e ottenere la crescita che merita.

È necessario l’aumento delle responsabilità e dell’importanza delle organizzazioni stesse: le associazioni o piccole cooperative di produttori devono occuparsi dei metodi di sviluppo per il controllo e la valutazione. Ma l’associazionismo è fondamentale a tutti i livelli della catena, perché, come è già stato annunciato, la coordinazione orizzontale non può che creare giovamento all’intera catena dei beni.

Per essere in armonia con le strategie di sviluppo nazionale è necessaria la presenza di informazioni corrette sul settore. Le politiche di sviluppo devono essere estremamente flessibili, aperte al cambiamento, favorevoli all’apertura e al miglioramento, adatte alla creazione di coordinazione orizzontale e verticale nella catena dei beni. Tali strategie sono state trascurate in alcuni paesi, ma è importante che siano in armonia con i piani di sviluppo nazionali. In alcuni paesi può essere necessario un gruppo di esperti stranieri per sostenere lo sviluppo. Questo significa che la spinta al cambiamento può essere data dall’esterno, dall’aiuto dei paesi sviluppati, in cui le politiche sono più aperte e le metodologie produttive più evolute.

Tutto questo significa creare dei cambiamenti e quindi dei possibili squilibri, per esempio agli assetti sociali o alla struttura produttiva, ma il cambiamento è necessario. E se avviene non può che portare giovamento.

Concludendo, dunque, non c'è dubbio che il continente africano offra opportunità ampie per lo sviluppo dell’acquacoltura. Essendoci oggi una maggiore apertura generale verso le società democratiche e una lotta continua contro la corruzione dei governi, i prospetti per lo sviluppo del settore sembrano più luminosi rispetto al passato e si ha la speranza che possano aumentare maggiormente in futuro. Questo per garantire la sostenibilità delle risorse ittiche che tanto preoccupa oggi a livello internazionale e per contribuire a ridurre la povertà in Africa.



Fonte: “African Water Resource Database”, Fao.

Fonte: N. Hishamunda, N.B. Ridler , “Farming Fish for profits: a small step towards food security in Sub-Saharian Africa”. Food Policy, 2006.

Fonte: Gibbon, “Upgrading Primary Production: A Global Commodity Chain Approach”. World Development, 2001.

Fonte: N. Hishamunda, N.B. Ridler , “Farming Fish for profits: a small step towards food security in Sub-Saharian Africa”. Food Policy, 2006.

Fonte: “The state of Food Insecurity in the World”. Fao, 2003.