martedì, ottobre 17, 2006

C’è spazio per il dono nella nostra società globale?
Ho l’impressione che i due termini siano tra loro inconciliabili. L’economia si fonda sullo scambio di beni e servizi di pari valore; e la globalizzazione non fa che esasperare la diffusione di questi rapporti, soppiantando la tradizione. Non solo. Il superamento degli spazi e l’accorciamento dei tempi (entrambi presupposti della globalizzazione), hanno come risvolto la de-localizzazione delle relazioni sociali, di lavoro, di consumo, di comunicazione. Chi è lontano appare vicino, si fa “prossimo” anche se è distante; ma allo stesso tempo, chi è prossimo, vicino, rischia di sembrare lontano e perciò “estraneo”, altro da me. Inevitabilmente il legame solidaristico si smaglia. La società globale, insomma, spersonalizza ed allenta la solidarietà.

Emblematica la partecipazione alle sofferenze e ai disagi dell’altro con aiuti in denaro in forme “a distanza”, con carta di credito o sms o altro.

Il DONO invece è l’esatto contrario della contabilità economica. In linea di principio, l’attesa della restituzione e l’obbligo di ricambiare sono presenti tanto nel rapporto di mercato quanto nel dono. Ma mentre nel primo appaiono espliciti, nel dono restano impliciti.









Lo scambio di mercato poggia sulla restituzione di quel che si è ricevuto: do ut des; non farlo, rifiutarsi di ri-cambiare, equivale a violare un contratto, a prendersi qualcosa senza concedere nulla. Il DONO, di contro, vive e si alimenta nell’attesa di una restituzione che potrebbe anche non avere mai luogo. Il suo scopo non è ottenere qualcosa in cambio di qualcosa, ma dare e offrire per mantenere vivo, aperto, possibile, un legame, una relazione; che diviene condizione per l’esistenza della società e della solidarietà.

Nel rapporto di mercato, tutto è chiaro ed esplicito fin dapprincipio, senza misteri o\e ambiguità; lo scambio economico non lascia residui di sorta: si esaurisce con l’atto. Nel DONO invece, c’è un resto, un valore aggiunto, una sorta di “grazia”; qualcosa di inatteso, di indeterminato, che rinnova incessantemente il rapporto e rinsalda il legame.

Che ne è dunque del dono nella società globale? Col pessimismo della ragione si potrebbe sostenere che tende a sparire o a sopravvivere in nicchie sempre più anguste ed esclusive, come i rapporti familiari e il mondo circoscritto degli affetti; finchè fanno argine, fin quando resistono.

In verità, i segnali sono contrastanti. Da un lato, è evidente che il mercato agisce da monopolista, fagocitando paesi, territori e ambiti della vita sociale che un tempo restavano estranei alla sua influenza. Con l’attrattiva del benessere e del consumismo, l’economia fa terra bruciata intorno a sé, sin dall’epoca della rivoluzione industriale. Ammette la compresenza di logiche concorrenti purchè non entrino in competizione con il mercato, a patto che non ne riducano la competitività.

Altrimenti, tende ad assimilare il diverso, a ridurre ciò che le è alieno ai suoi schemi funzionali. E’ quanto sta accadendo, da qualche anno a questa parte, con il volontariato e il terzo settore. Così, dall’originaria matrice di un volontariato fondato sul principio della gratuità e sul dono si è gradualmente approdati, dapprima all’affidamento alle organizzazioni volontarie di compiti di sostituzione e supplenza dell’azione pubblica, collettivamente condivisa e, in parte condivisibile, e poi all’introduzione di formazioni miste, “bastarde”, che assorbono nella forma dell’IMPRESA (economica o sociale, importa fino a un certo punto) ciò che ne era in precedenza distinto. E dalla forma alla finalità il passo è breve; con il risultato che, quando sarà finalmente compiuto, sparirà o si assottiglierà di pari misura lo spazio della solidarietà e della promozione dei diritti dei soggetti deboli ed esclusi.

Ma fondamentalmente con il risultato di abdicare a due primarie “funzioni latenti” dell’azione e del volontariato: quella della denuncia delle inadempienze e delle violazioni (da cui la formula che “solidarietà è legalità”) e quella dell’esempio che rende possibile “produrre solidarietà per mezzo della solidarietà”.

D’altro canto vi sono anche segnali positivi. A fianco all’individualismo esasperato, malgrado questo o forse per opposizione a questo, crescono le APPARTENENZE ai gruppi di aiuto delle più diverse forme; crescono le associazioni a difesa dei diritti, dell’ambiente, delle religioni, della pace, di lotta ai fondamentalismi ottusi della globalizzazione delle merci e dei costumi; crescono altresì, anche se non sempre in chiave di promozione delle identità, delle pluralità di appartenenze e di modi di essere, i localismi; e si affaccia per contrasto la ricerca di nuove identità, di nuovi stili di vita, di nuove affiliazioni, la disponibilita’ ad impegnarsi con PASSIONE e GRATUITA’ e CORAGGIO per e CON gli ALTRI (disagiati, minori, disabili, malati, popoli) ed alla FEDE, chiaramente accostata alle espressioni più genuine di dono e gratuità.

Se è così, allora forse il problema è la soluzione; in larga parte, è da addebitare alla nostra incapacità di interpretare correttamente il nuovo e di aggregare questo composito e variegato mosaico di espressioni ed esigenze: di dare sicurezza dove c’è incertezza; di armonizzare l’autoaffermazione individuale, che peraltro abbiamo lungamente assecondato, con il desiderio di comunanza, l’esclusiva preoccupazione per sé con l’altruismo.

Lo si può fare soltanto con l’esempio e con i risultati. Ed è la cosa più difficile, perché implica un lavoro accanito ed incessante di interpretazione e di aggregazione, di ricostituzione, su basi affatto nuove, del gusto della PARTECIPAZIONE e del senso di APPARTENENZA.

“ ….ogni amore autentico richiede sacrificio. Non abbiate paura allora quando l’amore è esigente. Non abbiate paura quando l’amore richiede sacrificio. …”

Giovanni Paolo II, Discorso ai giovani di Auckland – 22 Novembre 1986

N.B.: Questo testo è liberamente rivisitato da uno scritto di G. B. Sgritta (CARITAS)


3 Comments:

Blogger coordinatore said...

Ciao Alessio!!! che bello poter comunicare con te via Blog pur abitando a 100m in linea d'aria l'uno dall'altro!!

4:35 PM  
Blogger a1oradaqui said...

ahahhahah...se uscite fuori ai balconi vi vedete mentre scrivete sul blog!?..ahah

4:38 PM  
Blogger coordinatore said...

In questo caso, caro Pietro, devi chiedere al mitico Eddy...è lui il maestro...se provo a spiegartelo io (che sono andato avanti a tentativi per ore) diventi matto!!!!

6:30 PM  

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